Non c’è molto materiale su cui imbastire un’introduzione, stavolta: l’articoletto che vi state accingendo a leggere, infatti, non è altro che la “controparte coreana” di quello, pubblicato l’anno scorso, dedicato ai 10 manga BL di genere fantasy, a mio personalissimo giudizio!, più interessanti in circolazione.
Va detto, però, che, a questo giro, l’imbarazzo della scelta è stato tale da spingermi a operare una sorta di preselezione e a restringere il campo ai soli lavori ambientati in mondi fantastici o ispirati, più o meno marcatamente, a epoche passate della storia dell’Asia, dell’Europa e via discorrendo… escludendo dall’elenco, perciò, sia gli urban fantasy di gusto prevalentemente contemporaneo (un esempio su tutti? Il celebre e comunque imperdibile Fate Makes No Mistakes) sia, più in generale, i manhwa in cui la componente sovrannaturale sia circoscritta a qualche accenno di reincarnazione o di abilità di preveggenza.
Sperando, quindi, che possiate, se non proprio ritrovarvi nella lista a seguire, perlomeno rintracciare in essa gli spunti per un paio di nuove letture…
“Promise to become my Emperor and protect this Kingdom.”
Racconto il cui esordio si dispiega all’insegna di scenografie variopinte, vivacissime baraonde di comprimari, spiriti irresistibilmente seducenti e ostacoli… complessi da aggirare, sì, in teoria, ma in nulla dissimili dai tanti che gli eroi dei fantasy sono soliti affrontare con coraggio e puntualmente superare.
Stupisce (stupisce me, perlomeno), dunque, constatare come una storia presentatasi in vesti così leggere possa, in un secondo momento e poi fino a un commovente finale, gestire con tanta sensibilità anche i temi del distacco, del sacrificio, dell’amore crudelmente costretto a trovare nutrimento nella separazione e nella morte; e, soprattutto, come possa riuscirci senza dare l’impressione d’aver compiuto un’inversione a u rispetto alle proprie premesse… bensì, semplicemente, un’evoluzione lineare, una maturazione letteraria dalla spensieratezza infantile al raccoglimento dell’età adulta.
A guastare un po’ il tutto e a giustificare quest’ultimo posto in classifica, per come la vedo io!, solo il tratto ancora acerbo e imbrigliato in inquadrature, spesso, fastidiosamente statiche.
“The love he received from Nigel throughout the many different times they shared together… broke him to the point that he would shove a sword into his own heart.
With a face full of love.”
Dotato, come il titolo che lo precede in classifica, di una struttura fortemente (e dichiaratamente) debitrice delle più classiche soluzioni da rpg, HTRAV decide però di piegare quest’ultime alle esigenze di una trama dalle atmosfere plumbee, non priva di concessioni al gore puro, in cui le conseguenze della trasmigrazione dell’anima del protagonista all’interno di un videogioco non servano ad altro se non ad accentuare la solitudine del personaggio, la sua sensazione di non avere nulla e nessuno di “reale” a cui affidarsi. Ed è una consapevolezza, questa, che va consolidandosi sempre di più, man mano che l’evolversi della vicenda fa emergere come anche i rapporti da Nigel ritenuti più solidi, i suoi punti fermi, abbiano sempre nascosto un’ombra di artificiosità, d’induzione nient’affatto spontanea; rivelazioni, peraltro, da cui nemmeno il legame con il devotissimo – seppur spesso indecifrabile – Inas viene esentato.
E se a complicare tale situazione sopraggiunge, a un certo punto, un’idea di eternità ciclica da cui non sembra possibile liberarsi neanche con la morte, una frazione di vita che continua ripetersi in formule sempre più truculente, ecco che perfino nelle menti più salde possono finire per instillarsi alcune gocce di follia…
“Are you not interested in me at all? Not even a bit?”
“Interested? Perhaps I am, a little.”
Suggestioni da videogioco (abbiano esse a che vedere con la presenza di una simpatica mascotte intenzionata a seguire il protagonista fra le sue mille peripezie o, beh, con l’apparizione di ologrammi contenenti schede informative su ogni individuo incontrato lungo la strada) s’intersecano fluidamente con i tropi più vecchi e, in un certo senso?, rassicuranti del Fantasy, incarnati in incantesimi, in giochi di potere fra gli esponenti di prestigiosi casati nobiliari e in draghi dall’avvenente aspetto umano: fra un indovinello e l’altro, fra il completamento di una missione principale e una secondaria, il giovane e spesso confuso – ma dotato di una determinazione fuori dal comune – Eyra prova, già che c’è, pure a coltivare un po’ la propria vita amorosa, che, dopo averlo indirizzato verso un misterioso mercenario dai capelli rossi, sembra farsi stranamente labirintica, sibillina, pericolosa addirittura.
Da leggere anche solo per il piacere estetico garantito dalla coppia formata da Eyra e Yanu, che, tra screziature scarlatte e argentee, si pone dieci spanne sopra la maggior parte delle sue, nonostante tutto, più famose colleghe.
“Why am I meeting this guy again as a slave?”
La storia d’amore fra Giscard e Ray inizia, come deducibile?, nel peggiore dei modi… e, manco a dirlo, specie quando si ha a che fare con stregoni, spadaccini e intrighi di corte, tali modi peggiori non tardano a sfociare in una relazione intensa, costantemente messa alla prova da un contesto ostile e costantemente minata da incomprensioni figlie di un rifiuto a considerare l’altro come un interlocutore affidabile, come un potenziale compagno di vita, oltre che come un amante. Talmente tortuoso è, insomma, il decorso della relazione fra i due nemici che risulta difficile credere che il manhwa di Morgen e Sogumbbang, tratto dalla novel omonima, possa vantare anche un’architettura narrativa stratificata, ricca di colpi di scena e colpi di coda, di sagome “minori” ma ugualmente rilevanti per l’andamento delle vicissitudini aventi come attori principali i suddetti Giscard e Ray, di sistemi magici e reti di complotti studiati con cura e messi in scena in maniera limpida, facile da seguire, ma non per questo meno adatta ad arrovellamenti… fangirlistici? di varia natura.
E… ecco, sì, occhio alla rape fantasy, ovviamente.
“I’ll become king.
Then I can… take that cape off for you.”
Titolo che sfiora la Top 5 solo ed esclusivamente in virtù dei fasti di quella che è stata la sua epica, travolgente e sconvolgente prima stagione, vero e proprio gioiello degno di tutti i riconoscimenti del mondo: riconoscimenti relativi al ritmo serrato dell’azione, alla creazione di un dialogo sentimentale coinvolgente – con tutta la sua mole di contraddizioni interne – come pochi altri e alla costruzione stessa, arricchita da accenti quasi pittorici, di alcune delle tavole più significative (basti guardare a quella che raffigura Wolfgang e Shin intenti a danzare sotto un gazebo o, ancora, a quella in cui i due riescono a ritagliarsi pochi attimi d’intimità fra i corridoi della reggia).
Peccato che, a partire dalla fine del primo terzo della seconda stagione in poi, la trama imbocchi improvvisamente un sentiero costellato d’insensate deviazioni, di caratterizzazioni psicologiche tradite senza pietà e di approfondimenti su personaggi dal carisma pressoché nullo, se confrontato con quello dei due, via via sempre più ignorati, protagonisti. E proprio questa è la zavorra, mai abbandonata al largo (il manhwa è tuttora in corso, dopotutto), che m’impedisce di posizionare il lavoro di Kang Ji Young su uno qualunque dei gradini di quel podio da cui, fino a un paio d’anni fa, avrei veramente voluto vederlo troneggiare.
“Suyoung.
I’d trade this entire nation just to win your heart.”
Preamboli che avrebbero potuto lasciar presagire la costruzione di una coppia abbastanza tossica da far impallidire perfino quella protagonista di Into the Rose Garden (il che, credetemi, è quanto dire…), contro ogni pronostico, sfociano prestissimo in una delle storie d’amore dall’impianto più paritario, confortevolmente domestico e, una volta spente le fiamme accese dalle minacce esterne, addirittura umoristico che il panorama fumettistico coreano abbia da offrire. Questo perché la componente fantastica relativa allo scambio di corpi fra i meno compatibili dei soggetti – un Imperatore noto per i suoi metodi sanguinari e un medico dall’indole mite e compassionevole – non costituisce che un trampolino di lancio teso a permettere alle due vittime del maleficio non solo di scoprire sfumature inedite e impensabili della natura del compagno di sventure, ma anche di riscoprire se stessi e il proprio potenziale, finalmente libero dai vincoli di ruoli, a tratti, troppo stretti; rinascimento individuale e graduale maturazione di un sentimento nei confronti dell’altro procedono di pari passo, vantano le medesime radici.
Poi, oh, l’immagine di un maschio alpha intrappolato nel corpo di un twink fa, a prescindere, la sua porca figura…
“How can you get up every day… and continue to love me without fail?”
Una storia il cui svolgimento appare contraddistinto da un continuo susseguirsi di disarticolazioni e riarticolazioni (considererei riduttivo definirle semplici “archi”), intervallate da salti temporali più o meno lunghi, il cui scopo sembra essere quello di sorprendere i lettori con sempre nuove prospettive da cui guardare alla vicenda rappresentata. Di Tasara e Nara si fa la conoscenza durante uno specifico stadio della vita di entrambi di cui, in seguito, non rimarrà che un riflesso sbiadito, tanti e tali saranno gli stravolgimenti a cui andranno incontro le esistenze dei due e, di conseguenza, perfino i rispettivi punti di vista e le rispettive personalità; pare quasi, da un certo punto in poi, di assistere al disvelarsi di più racconti, legati sì l’uno all’altro da un unico filo conduttore, ma diversissimi nei toni, nei ruoli via via ricopertivi dai personaggi, nelle finalità della narrazione.
Difficile, oltretutto, non ravvisare nell’impronta cangiante dell’intreccio una sorta di riflesso, se vogliamo, della mente frammentata di Tasara, costretto a lasciare che, nel proprio corpo, ben due anime distinte convivano, si scontrino e, in ultimo, ricerchino una sintesi che potrebbe però sapere più di dissoluzione che di rinascita…
“You were like a poison.”
Opera che vi costringerà più e più volte a controllare se quello che state sfogliando sia effettivamente un manhwa, al 100% coreano, e non, piuttosto, un manhua tratto da qualche danmei o l’adattamento fumettistico di un c-drama di successo. Questo perché Frenemies non si limita ad avanzare lungo i binari di una Cina leggendaria, avulsa da qualsiasi elemento riconducibile ai suoni e ai profumi dell’indimenticato regno di Silla, ma fa proprie tutte le dinamiche tipiche dei wuxia… rielaborandole, forse, con scarsa inventiva, ma con estremo rispetto e con un gusto per l’avventura, per quel tipo di romanticismo tanto lento a concretizzarsi quanto rapido nel portarti a tifare indefessamente per un suo esito lieto (d’altro canto, di una enemies to lovers in pienissima regola si parla… e chi può dirsi immune al fascino delle enemies to lovers?), per il frizzante avvicendarsi di nomi e situazioni sempre in movimento che, a conti fatti, fanno meritatamente guadagnare a Hkmi una “laurea ad honorem” nell’ambito del BL di stampo cineseggiante (?).
Bonus: un’appena allusa, ma comunque visibile, coppia queer al femminile, sullo sfondo.
“The ecstasy of being loved by a God… was so good I could’ve died happy.”
Un’opera, questa, che ho ritenuto fosse doveroso piazzare sul secondo gradino del podio, come tributo sia all’originalità della sua idea di base (è raro, quando si è alla deriva in oceani la cui fauna fantasy non sembra conoscere alternative ai draghi del Medioevo europeo e alle kumiho del folklore coreano, imbattersi nella mitologia di un continente abitualmente ignorato come quello africano) sia alla sua capacità di tessere un intreccio solido, dipanato in tante sottotrame quanti sono i membri del – è proprio il caso di dirlo – pantheon di protagonisti mossi da inestinguibili rancori o da incurabili rimpianti, senza che nessuna delle pur numerose digressioni appaia come un allungamento di brodo e senza che nessun repentino rimescolamento di carte pecchi d’incoerenza; un tributo, perché no, anche all’abilità di Mojito nel dar vita a un perfetto connubio fra estetica e ambientazioni, con quel predominio di linee spesse e colori caldi, ma opachi, che induce il lettore a credere di trovarsi intento per davvero a srotolare una pergamena ingiallita o a vagare nel bel mezzo d’una tempesta di sabbia; un tributo, infine, al coraggio dimostrato nell’affrontare tematiche certo non adatte a tutti i palati, “inutilmente pruriginose” solo agli occhi di coloro la cui conoscenza della cultura dell’Antico Egitto si limiti al ricordo di qualche vignetta di Paperamses (perdonate il sarcasmo, ma è da quando ho scorto i commenti scandalizzati per la presenza di rapPOrtI inCEsTuoSI!!1!, in risposta all’annuncio della Planet Manga, che aspettavo di togliermi questo sassolino dalla scarp—)… in quanto, semmai, adulte e complesse, dissezionate con cognizione di causa.
Ah, un tributo pure a Seth, a.k.a. uno degli… eroi?, antieroi?, più belli del reame del BL (e non solo).
“My Lord, court not the company of those who traverse life and death.
For they are the deadliest when they appear the most human.”
Una concezione del Fantastico, quella proposta da Ananas e C.R Jade, che, con le sue scorciatoie per il mondo dei morti aperte in ogni angolo di quello dei vivi, non esita un istante a donare alla società Joseon un sapore grottescamente crepuscolare; ecco gli intrighi di palazzo tradursi in vere e proprie maledizioni, dunque, i cospiratori acquattati nell’ombra assumere le sembianze di spiriti sogghignanti e, ultimo ma non meno importante, lo scandalo in nuce nell’omosessualità dell’erede al trono rischiare di scoppiare a causa della tresca fra quest’ultimo e nientepopodimeno che il figlio del Re degli Inferi. Nessuna trovata da feuilleton viene, insomma, scartata a priori… ma, per riuscire a garantirsi un posto d’onore in platea, è necessario che essa si dimostri pronta a sciogliersi in metafora e a trasferirsi dal piano del reale a quello dell’ultraterreno senza, nel processo, perdere d’efficacia o cambiare significato.
È entro questi confini scomposti che s’inscrive la complicata relazione, o il complicato accordo, fra Lee Nok e Jae Shin: “accordo” perché, beh, ciò su cui entrambi gli uomini convergono all’inizio è un do ut des in piena regola, proposto suadentemente dall’uno e riluttantemente accettato dall’altro – senza che, nel primo dei due, il desiderio sessuale accenni ad assumere forme anche solo un po’ più intime della nuda e cruda fame e, nel secondo, prenda piede l’ipotesi di poter guardare agli amplessi consumati col demone come a qualcosa di meno sgradito d’un male necessario. Se non fosse che, pian piano, nell’affresco generale inizia a insinuarsi l’idea di Destino… un destino capace di fare d’un paio di esistenze agli antipodi, fra loro stridenti, una coppia di amanti in grado di ridisegnare i confini fra Vita e Oltretomba, fra la giurisdizione del giorno e quella della notte…
…
… e, tirando le somme, non posso fare a meno di chiudere il discorso sulla stessa nota d’amarezza con cui mi ero congedata dalla precedente Top 10: appare davvero assurdo, ai miei occhi, il fatto che uno solo dei titoli qui elencati (tutti di grande successo!) sia stato preso in considerazione dalle case editrici nostrane.
È vero che, in questo caso, il problema sembra risiedere non tanto nel genere d’appartenenza delle opere in oggetto quanto, piuttosto, nella loro natura (finora meno “collaudata” e, di conseguenza, più spinosa) di manhwa a colori, ma… non so, ora come ora penso sia il caso d’adoperarsi affinché Ennead ottenga un clamoroso riscontro di pubblico, se si vuole che il suo non venga ricordato, in futuro, come un esperimento isolato…