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Shimanami Tasogare (o del negozio di Yuuko Ichihara e del rossetto di Mishima)

 

“Even if we can’t understand each other… I want to live in a world where we can live without having to understand each other.”

(Tasuku Kaname, capitolo 15)

 

L’annuncio dell’imminente pubblicazione di Shimanami Tasogare, risalente al Lucca Comics & Games del 2017, è stato sicuramente il più chiacchierato degli ultimi mesi, nonché uno fra quelli accolti con maggiore entusiasmo dal pubblico nostrano.
Impossibile, d’altro canto, ignorare la portata quasi rivoluzionaria della novità introdotta dal titolo in questione: a ritrarre l’adolescenza confusa e nervosa d’un shimanamitasogare1ragazzo gay – nonché, più in generale, le problematiche relative alla comprensione/esplorazione del proprio orientamento sessuale – non è, stavolta, né un BL (genere, peraltro, ancora ingiustamente snobbato da molti) né, tantomeno, uno di quegli ‘shoujo d’autore’ capaci di per sé di conquistare un pubblico abbastanza eterogeneo… bensì, forse per la prima volta?, un seinen. Difficile immaginare che gli appassionati si lascino sfuggire l’occasione di supportare un’opera il cui successo, fra le altre cose, potrebbe finire per incoraggiare le case editrici ad investire su ulteriori (e, magari, perfino più… audaci?) ‘esperimenti’.
Da qui, l’incertezza sul cimentarmi a mia volta nella recensione d’un lavoro in merito al quale, da Novembre ad oggi, sono già state spese tante e tanto convincenti parole. Incertezza che, alla fine, mi ha convinta a limitarmi (lì dove, conoscendomi, il limitarmi equivarrà ad uno sproloquio lungo circa tre pagine di Word in Verdana 8) a tracciare un paragone tra il manga di Yuhki Kamatani e due dei titoli che, più per libera associazione d’idee che in base a caratteristiche oggettive, mi sono ritrovata ad accostare a quest’opera, durante la lettura.

Per chi volesse seguirmi, inizierei quindi con…

 

 

xxxHOLiC

“You don’t only belong to yourself, you know?
There isn’t anything in this world that belongs only to yourself. Everyone has connections to someone else and shares something with them through these.
That is why you can never be free.”

(Yuuko Ichihara)

 

Nel negozio di Yuuko Ichihara (quello in cui i desideri diventano realtà… quello in fondo alla strada, che ieri forse non era lì, a cui forse non avevi fatto caso?, chissà, forse ti eri sbagliato…), ad ossessionare gli sventurati clienti non è soltanto il peso delle richieste avanzate da ciascuno di loro, ma anche il tortuoso labirinto di fumo emesso dalla pipa della strega, che sembra incantare e avviluppare a sé chiunque vi si avvicini un passo di troppo. Allo stesso modo, i soffici flussi del vento cavalcati da Anonymous o, meglio ancora, le onde imprigionate nelle bocce di vetro in cui Tsubaki custodisce i propri pesci paiono seguire, passo dopo passo, le fantasie e le riflessioni di ogni ragazzo, arrivando quasi, nei momenti più concitati, a materializzarvisi tangibilmente tutt’intorno.
L’impronta che caratterizza l’estetica di entrambe le storie è, dunque, quella onirica – che, in Shimanami Tasogare, si traduce in una festa di cerchi morbidi e fluttuanti, a cui il tratto delicato della Kamatani dona abbastanza vitalità da rendere inaspettatamente credibile perfino la presenza di un’astronave (simbolo cardine dell’individualità, creativa e innocente, del protagonista, da sempre patito di UFO) sullo sfonxxxholicetcdo del faccia a faccia decisivo fra Tasuku e Tsubaki. L’elemento fantastico, quasi ci si ritrovasse in una di quelle vignette in cui lo spettatore viene chiamato a ‘scovare l’errore’, cammina fianco a fianco con i personaggi, accompagnandoli lungo ogni viottolo e su fino alle stanze in cui essi si rifugiano a soffocare le proprie innominabili angosce, rivestendo l’opera con un variopinto manto di Realismo Magico che ben si sposa con le atmosfere e ‘la morale’ stessa della fiaba: quelle dei pesci volanti (che tanto ricordano Lawful Drug, titolo delle CLAMP in cui diversi fans individuano una sorta di studio preparatorio a xxxHOLiC), dei piccoli omini verdi e delle coppie d’innamorati che danzano fra le nuvole sono, infatti, immagini bizzarre, eccentriche, fuori posto esattamente al pari dei giovani impauriti che si ritrovano ad offrirsi conforto e comprensione reciproca all’interno delle abitazioni (o dei pregiudizi… ?) che intendono rimettere a nuovo. Se il mondo di Watanuki non era altro che il prolungamento della sua esistenza fuori dal tempo, disseminata di prove da superare per riuscire ad oltrepassare la linea che divide il sogno dalla realtà, quello di Tasuku è piuttosto intriso delle tante proiezioni dei suoi dubbi e del suo stato d’animo da – quasi letteralmente, appunto – pesce fuori d’acqua, da ricettivo osservatore d’una dimensione di cui non sa ancora se varcare o meno l’uscio… e come farlo, soprattutto.
Per non parlare, s’intende, delle analogie che legano Anonymous (sfuggente, ma, proprio per questo, curiosamente rassicurante figura che presta ascolto, senza porre alcuna domanda, alla sofferenza e alle speranze di chi la incontra lungo il proprio cammino) e la Strega delle Dimensioni: arduo, infatti, non riconoscere in queste due figure, che – rispettivamente – una tortuosa indagine interiore e l’ineluttabilità della morte hanno posto ai margini della società, una rappresentazione piuttosto simile del tropo di quell’Aiutante Magico… custode d’una dimora isolata, visitata solo da chi è alla “ricerca di qualcosa”… che fa la propria comparsa per indicare la via al protagonista, rivoluzionandogli o sconvolgendogli nel mentre l’esistenza. Lunghi capelli neri, parole sibilline, sguardo che sembra indagare un altrove invisibile agli occhi di qualsiasi altro essere umano… e nessun legame, o solo uno, ad ancorare queste due malinconiche o rassicuranti o inquietanti apparizioni al piano terreno.

 

 

SMELLS LIKE GREEN SPIRIT

“People that, like me, used to secretly put on their mom’s lipstick. People who are proud to be gay. People who laugh, saying they “don’t care about gender”. People who “carry neither hope nor a future”.
One of my cross-dressing friends committed suicide three months ago.”

(Futoshi Mishima, capitolo 14)

 

Checché se ne dica in giro, il mondo non è ancora diventato un posto accogliente per tutti quei ragazzi (e non solo) che si riscoprono ‘diversi’, per orientamento sessuale in particolare, dalla maggior parte dei loro coetanei. Non tutti riescono a conquistarsi un lieto fine: alcuni, semplicemente, rinunciano a cercarlo, mentre altri lo ottengono al prezzo di sacrifici che finiscono per minarne inevitabilmente la dolcezza. È questo il quadro, tristemente realistico, a cui sia Saburou Nagai sia Yuhki Kamatani hanno cercato di dar vita e colore, tramite le voci di persone i cui sforzi non sono proiettati tanto al coronamento delle loro storie d’amore quanto alla possibilità di viverne una o più d’una, in futuro, col cuore e la coscienza a posto. E, chissà, magari perfino in armonia coi propri cari e con una società in costante, ma lento e tardivo, cambiamento.
I due titoli, di conseguenza, vantano una preminente caratteristica in comune, che in entrambi i casi è resa peculiare dai rispettivi contesti d’appartenenza, ma per ragioni fra loro molto diverse: gli accenni allo sviluppo di relazioni sentimentali fra inslgsdividui dello stesso sesso, infatti, non possono che rappresentare una sorprendente innovazione nell’ambito del genere seinen… mentre il fatto che essi siano appunto solo accenni, marginali rispetto all’approfondimento di temi quali l’omofobia e l’autoaccettazione, risulta piuttosto insolito per un BL, da cui ci si aspetterebbero accenti più marcati proprio sull’intreccio di stampo prettamente romantico. Quest’ultimo, beninteso, non risulta certo irrilevante ai fini della narrazione… tutte e due le autrici in questione, d’altronde, si dimostrano ben consapevoli della capacità che ha una storia d’amore, pur soltanto abbozzata, di stuzzicare il lettore sul piano emotivo e d’avvincerlo ad un racconto che, in assenza di tale coinvolgimento, non rappresenterebbe per il suo pubblico che uno svago di stampo esclusivamente cerebrale; e, difatti, almeno per la sottoscritta sarebbe impossibile negare la curiosità provata per le dinamiche intercorrenti fra i tre protagonisti di Smells Like Green Spirit (dinamiche nient’affatto scontate, oltretutto. Lo stesso ‘palesarsi’ dell’interesse amoroso del protagonista avviene con una sorta di piccolo colpo di scena), così come la rabbia e, successivamente, il sollievo avvertiti nell’assistere alle varie fasi del lento sbocciare di Tsubaki, innescato proprio dalla presenza al suo fianco – e dalla passione, quindi, timida e gentile – di Tasuku e in continuo divenire (coerentemente con la struttura di un’opera che fa del non-finito, della metamorfosi e dell’ariosità le proprie cifre stilistiche essenziali). Tuttavia, con nessuno di questi legami si commette l’errore d’invadere lo spazio riservato alle tematiche principali, mai si cede alla tentazione di scacciare via dal palco quell’amara critica all’ipocrisia delle masse e quella paura nello scoprirsi diversi da ciò che pensavamo di essere che, al contrario, proprio certi primi o ultimi amori hanno il compito di spingere, garbatamente, sotto la luce dei riflettori.
E, dato che né la Nagai né la Kamatani hanno scelto di raccontarci favole per bambini, non sempre quell’ipocrisia e quella paura si dissolvono nell’epilogo auspicato.

 

 

In conclusione… beh, probabilmente l’analogia fra questi tre lavori non avrà detto nulla a chiunque abbia letto fin qui – perché basata su sensazioni personalissime, su ricordi piuttosto lontani nel tempo e su immagini distrattamente elaborate durante la lettura. Stesso dicasi per la possibilità che, nel mio livello di coinvolgimento e apprezzamento per una storia che spiega così bene cosa significhi, al giorno d’oggi, sia lo riscoprirsi omosessuale sia il risolversi a vivere apertamente come tale, possa certamente aver influito la mia appartenenza alla comunità LGBT.
Mi auguro, comunque, di non essermi spinta davvero troppo oltre coi voli pindarici… o, nel caso l’avessi fatto, di non aver mancato di molto quella nuvola da cui la Kamatani sembra volerci suggerire che, in un mondo immaginario che è però anche dolorosamente reale, ci stia osservando un’Anonymous che ascolterebbe volentieri, senza fare commenti o chiederci nulla, le nostre lacrime e i nostri sorrisi.

 

 

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